Come ogni mattina, Harry fu svegliato da uno sbuffo di polvere sul naso.
Per scendere in cucina a fare colazione, suo cugino Dudley si preoccupava sempre di saltare su e giù dalle scale, così che il ripostiglio del sottoscala - camera di Harry - si riempisse di fastidiosi spifferi polverosi.
Dudley adorava prendere in giro Harry, adorava torturarlo, adorava farlo rimproverare da suo padre anche quando non aveva colpe, e ogni occasione era buona per divertirsi a spese del cuginetto, ormai adottato in casa Dursley da diversi anni. E probabilmente era questo a rendere Dudley così avvezzo ai dispetti; gelosia, difesa del proprio ambiente, come un animale selvatico che scaccia l’intruso di turno.
In cucina, come al solito, Harry era addetto alla preparazione della colazione, a con l’esperienza degli ultimi anni era diventato piuttosto bravo a preparare i piatti preferiti da Dudley.
Era domenica. Anche quella mattina era entrato in cucina in silenzio, ignorato dallo zio che leggeva il giornale, da Dudley che guardava i cartoni in tivù e da zia Petunia che allungava il collo come una giraffa fuori dalla finestra, spiando i vicini.
«Colazione!» disse Harry. Così i Dursley sedettero a tavola e iniziarono a mangiare. A Harry toccavano gli avanzi di Dudley, il che era sempre poca cosa, ma doveva adattarsi, lo sapeva bene.
«Ragazzo, sai cosa devi fare» borbottò zio Vernon a Harry alzandosi da tavola e ripulendo i baffi dalle briciole dei biscotti.
Per Harry, la domenica era giornata di pulizie in giardino. Togliere le erbacce, tagliare il prato, innaffiare i gerani della zia erano le mansioni domenicali che occupavano gran parte della giornata di Harry. Lo odiava, ma anche in questo caso doveva adattarsi, lo sapeva.
Dopo la pausa per il pranzo, Harry tornò in giardino per occuparsi delle erbacce del vialetto. Era un compito noioso – più noioso del resto dei lavori da giardiniere –, e cercava di non pensarci fantasticando sui Dursley, immaginandoli alle prese coi più disparati incidenti domestici. Ma ad attirare l’attenzione di Harry, quel pomeriggio, non fu nessuna fantasticheria sugli zii.
Mentre sradicava l’erba secca e la raccoglieva in un cestello, il suo sguardo si posò su una civetta appollaiata sul comignolo della casa di fronte. Aveva le piume arruffate e scure, e nel becco stringeva una lettera…
Harry lasciò per un attimo il cestello con le erbacce, e attraversò il vialetto per osservare meglio. Sì, era proprio una lettera! A quel punto, la civetta si alzò in volo con un fruscio d’ali, e dopo un semicerchio attorno il comignolo, atterrò ai piedi di Harry, rimasto impalato accanto la buca delle lettere dei vicini. La civetta fece schioccare il becco, lasciando cadere la lettera, poi, sempre con un fruscio d’ali, volò via, fino a scomparire nel cielo nuvoloso.
Iniziò a piovere quando Harry rientrò in casa, stanco ma incuriosito dalla lettera, ora nascosta nei jeans a scopo precauzionale. Harry non l’aveva ancora aperta, ma l’indirizzo era chiarissimo: “Al Sig. Harry Potter, vialetto del numero 4, Privet Drive, Little Winging, Surrey”.
Quello fu uno dei giorni più importanti della vita di Harry. Quella lettera l'avrebbe portato a cambiare vita. A vivere. Il giorno più importante... Finalmente fuori dal sottoscala.
...
Vorrei dedicare questo stralcio di racconto (scritto, lo si potrà notare, per impegnare una serata sul monotono andante) alla gente che non ama le favole, che non crede all'importanza delle piccole cose. Tesori, ai quali ci si può aggrappare sempre, e rendere migliore qualsiasi momento peggiore. Una "lettera", che può cambiare tutto, in qualsiasi momento.